La storia di Magliano di Tenna attraverso il castello e la torre da Bora. Storia del borgo fino alla piazza.

Magliano di Tenna 19 18

Le notizie storiche più antiche sul castello di Magliano di Tenna, risultano frammentarie a causa di un incendio che vide distrutti i più antichi documenti d’archivio. Quello più antico, riferito in particolare alla denominazione di castrum, risale al 1199 e riferisce della restituzione da parte della città di Montegiorgio che l’aveva ricevuto “al tempo di Marcovaldo” del castello di Magliano al visdomino Adenolfo. Dopo essere stato insediamento e possesso farfense intorno all’XI secolo, i passaggi di giurisdizione del castello, appetìto per la sua posizione strategica sulla Valle del Tenna, dovettero essere piuttosto concitati se si ha notizia che, nel gennaio 1229, Federico II di Svevia, in opposizione alla fedeltà guelfa di Fermo e delle sue mire sul castello, concesse Magliano di nuovo alla comunità di Montegiorgio. Dopo la scomparsa di Federico, Fermo ottenne la restituzione in enfiteusi di Magliano e dei castelli limitrofi nel 1266. Quindi, nel 1293, in un rogito notarile tra le comunità di Montegiorgio e di Fermo, si conferma la definitiva annessione in epoca medievale del Castrum Malleani sotto la giurisdizione del vescovo di Fermo.

La definitiva giurisdizione fermana su Magliano è confermata anche nella Descriptio Marchiae, estesa dal cardinale Egidio Albornoz nel 1357, dove viene inserito tra i castelli oltre il Tenna (ultra Tomiam). Il 25 ottobre del 1413 Magliano venne conquistato dai Malatesta che vi dominarono sino al 1416, per poi ritornare di nuovo sotto Fermo. Tra il 1433 ed il 1447, periodo del dominio di Francesco Sforza sul territorio marchigiano, si assiste ad un generale riassetto dei circuiti murari e delle fortificazioni, resosi indifferibile dalla necessità di consolidare i capisaldi delle sue conquiste territoriali.

Esempi di architettura militare sforzesca, molto diffusi nelle Marche, possono essere letti da Fano sino a Corinaldo, ma anche sino al meridione della regione, come dimostra la stessa Torre da Bora. Molte delle caratteristiche tipologiche di questa stagione sforzesca possono essere infatti individuate anche nelle strutture difensive ancora leggibili nel circuito e nei torrioni di Magliano di Tenna.

A 293 metri sul livello del mare si innalza a Magliano di Tenna una cinta muraria abbastanza conservata, dalla caratteristica forma planimetrica ovoidale, adagiata sulle curve di livello del terreno. In un contesto urbanistico dai tipici tratti insediativi medievali, sul perimetro delle mura ristrutturate nel XV secolo  si allineano a corona gli edifici residenziali e quelli religiosi, tra i quali spicca, a sud-est, il volume cilindrico dell’abside della imponente parrocchiale di S. Gregorio Magno, costruita nell’ultimo decennio del XVIII secolo su probabili preesistenze ecclesiali farfensi.

Sebbene il circuito medievale due-trecentesco della cinta maglianese dovette essere punteggiato in origine da numerose “case-torri”, quelle che ancora oggi sono maggiormente identificabili, dopo il loro inglobamento e cimatura nelle nuove residenze attorno al XVII secolo, sono senz’altro la Torre Sud e la nostra Torre da Bora, prospicienti: la prima il quadrante meridionale e quest’ultima il quadrante nord-occidentale della cinta urbica. Entrambe presentano una planimetria poligonale, pentagona irregolare per l’esattezza, oltre che una scarpatura ben pronunciata, alti beccatelli a sporto per la difesa piombante; nella Torre da Bora sono riscontrabili inoltre troniere circolari laterizie. Il contesto generale ci riporta  con evidenza al tipico aspetto tipologico dell’architettura militare quattrocentesca del periodo sforzesco, ben diffusa nella regione.

Se ai suddetti due torrioni si aggiunge l’individuazione della presenza, emergente dalla cinta, di una terza torre scarpata nel quadrante nord-orientale (oggi cimata ed inglobata nelle residenze a fianco di una porta secondaria), questa ad evidente ed ampia pianta quadrata, si può verosimilmente definire un completo  ed efficiente sistema a schema triangolare di difesa preminente della cinta fortificata sui principali fronti esposti, schema al quale erano di certo intercalate in origine  torri secondarie rompitratta, oggi inglobate nel tessuto edilizio. Sul piano territoriale il castello interagiva a vista con i ben identificabili centri fortificati limitrofi di Rapagnano a nord, di Montegiorgio ad ovest e di Grottazzolina a sud-est, mentre il profilo di Fermo si intravedeva in lontananza verso est e la costa.

Delle così individuate tre torri preminenti, quella identificata come Torre da Bora svolgeva il compito di torre principale, con funzioni sia di avvistamento sia di difesa dell’ingresso maggiore al castello, il quale vi si apriva lateralmente a nord nel suo fianco destro, verso “bora” appunto, secondo le antiche denominazioni della rosa dei vènti – per maggior sicurezza, munito di ponte levatoio ligneo a bolzoni e relativo battiponte opportunamente distanziato dal fórnice d’ingresso.

La presenza presunta di un fossato perimetrale completo alla cinta moglianese appare molto opinabile, sia per la caratteristica posizione laterale del sistema d’ingresso alla Torre da Bora, sia perché l’orografia originaria perimetrale del castello doveva essere molto più pronunciata di quanto oggi sia percepibile dopo le moderne opere di urbanizzazione e, quindi, allora sufficiente a scongiurare facili avvicinamenti delle cortine.

Possiamo quindi ipotizzare un intervento di ristrutturazione della fortificazione medievale maglianese attuata in epoca sforzesca, con l’aggiunta della completa o parziale scarpatura delle mura e delle torri preminenti, secondo il costume tipologico dell’epoca, mentre le altre torri secondarie furono verosimilmente lasciate a profilo verticale diritto, svolgendo una mera funzione di rompitratta, sufficiente alla copertura balistica del circuito, dato anche il suo modesto perimetro. Interessante si presenta, al piano terra, il sistema del doppio androne d’ingresso della Porta da Bora, che presenta entrando un intradosso ogivale, costituito da un primo locale pentagonale voltato con una notabile struttura laterizia “ad ombrello” irregolare su peducci piramidali, tipicamente quattrocentesca. Su tre lati delle pareti del primo androne, destinato alla difesa, si aprono tre feritoie quadrangolari strombate, dall’intradosso scalettato, adibite al tiro mobile da parte della guarnigione con armi da fuoco da brandeggio (archibugiere). La manovra dei bolzoni del ponte levatoio avveniva da un ambiente sovrapposto, coperto con voltone a botte, dove sono ancora visibili le feritoie rettangolari per i contrappesi o, forse meglio, per i rotoni a catena.

Da questo primo ambiente ci si immette, voltando a sinistra, nel secondo (oggi coperto a solaio di travi lignee, ma un tempo voltato a botte lunettata) attraversando una doppia arcatura: la prima a sesto ribassato (cui si antepongono sulla sinistra i resti del montante di una porta ogivale con listello tòrico) e la seconda, più larga e ad ampia ogiva; l’insieme doveva costituire parte della primitiva porta d’ingresso due-trecentesca alle mura, allora  protetta probabilmente da una semplice torre portaia rettangolare esterna. Da questo ambiente, lo sbocco sulla piazza interna del castello, Piazzale S. Giacomo,  avviene attraverso uno sproporzionato arcone a tutto sesto e a doppia altezza, il cui allargamento va fatto risalire probabilmente  alle modifiche attuate nel tessuto edilizio residenziale urbano attorno al XVII-XVIII secolo.

Alla luce delle su esposte considerazioni tipologico-architettoniche appare evidente, quindi, l’importanza storica della Torre da Bora di Magliano di Tenna come documento significativo della storia dell’architettura fortificata delle Marche.

L’Istituto Italiano dei Castelli, su segnalazione della Sezione Marche, ha deciso di conferire alla Torre da Bora la Targa di Riconoscimento dell’Istituto come il migliore restauro di opere fortificate in Italia per il 2002.

(Da: F. MARIANO, La Torre da Bora a Magliano di Tenna, in «Castella Marchiae», n.4/5, 2000/2001, Ed. Il Lavoro Editoriale, Ancona 2002)

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